venerdì 23 dicembre 2011

NATALE: FESTA DELLA SPERANZA

Carissimi, sembra attuale la profezia di Isaia che dice: “Un popolo che cammina nelle tenebre vede una grande luce”. Anche a noi, oggi, sembra di camminare nel buio dell’incertezza e di una realtà sociale che sembra priva di progetti; ma nell’ascoltare  la Parola di Dio nel profondo delle nostre coscienze e ascoltando i sogni dei giovani che cercano il futuro, vediamo sorgere delle stelle di speranza nel firmamento freddo e nebuloso delle culture dominanti.  Il “freddo” è l’avidità di gruppi economici che guardano solo il proprio profitto, è un sistema commerciale che incita a soddisfare i propri bisogni di piacere, impigrendo le coscienze.
Il freddo è chiudersi nei giochi solitari di fronte al computer o nelle sale giochi.
Il freddo è l’incapacità di vivere relazioni fedeli e sincere nella coppia, con i figli, nei luoghi di lavoro.
Il freddo è quello degli occhi dei bambini non amati, aggrediti dalla violenza degli adulti.
Ed è proprio nel freddo di quest’umanità “congelata” e nel buio delle relazioni sterili che Dio viene ad abitare per ridonare il suo Amore, forza fluidificante per costruire relazioni capaci di produrre pace.
In questo freddo, dunque, la bella notizia è che Dio è vicino all’uomo anche quando sembra che l’uomo si sia allontanato da lui: un Dio che si fa prossimo, che chiede di essere preso in braccio perché vuole prenderci in braccio, che vuole realizzare il suo progetto. 
In Cristo che viene, l’umanità trova La tenerezza del Padre misericordioso, che   vuole ridare all’uomo la capacità e la bellezza di vivere la vita a misura di Dio che è amare senza misura.
Dio entra nella nostra esistenza, nella nostra storia: dall’infinita sua grandezza scende nella nostra finitudine e nella nostra pochezza ridonandoci l’identità della figliolanza divina e della fratellanza universale: ci rimette in piedi per essere capaci di relazioni autentiche nella giustizia e nell’amore. Per questo l’incarnazione del Figlio di Dio è l’inizio della nostra resurrezione ad una vita “alta” a misura della Sapienza del cuore di Dio.
Per questo, oggi, sentiamoci ancora Bethlemme perché lì si sono “compiuti i giorni del parto” e Dio ancora viene nella mangiatoia per farsi cibo. Quest’anno non “deponiamo” il bambino di plastica al centro del presepe, ma mettiamo Cristo, uomo morto per amore e risorto per amore, al centro della nostra vita, facciamoci ancora guidare dalle stelle che ci conducono di fronte a lui, per cadere in ginocchio di fronte al mistero di questa epifania trinitaria. 
Sant’Agostino ci dice che “l’incarnazione è l’adozione completa in un solo uomo di tutta l’umanità solidale”: Dio ha adottato tutto, ha assunto tutto e, proprio perché è Amore che salva, si è reso presente dove è il male, dove è il peccato, dov’è la fragilità.
Allora AUGURI perché ogni persona e ogni casa sia oggi la nuova Bethlemme.         Don Franco

Via con le Missioni Shalòm


Noi Ragazzi Shalòm abbiamo cominciato, a partire da dicembre, una nuova esperienza che caratterizzerà il nostro cammino: le missioni.
Insieme alla divisione per fasce di età (i tre anni Shalòm), ora siamo suddivisi anche in 5 squadriglie miste, ognuna caratterizzata da una missione da portare a termine e da un colore:
1. Liturgia (rosso): ha la missione di preparare e proporre le preghiere per la Messa domenicale, preparare il power-point che ci aiuta a seguire meglio la celebrazione, ed in generale di preparare le liturgie del gruppo;
2. Logistica (blu): ha la missione di prendersi cura del materiale del gruppo, di organizzare le uscite dal punto di vista tecnico, di tenere in ordine gli spazi utilizzati;
3. Diario di gruppo (bianco): ha la missione di raccogliere e raccontare le esperienze e le avventure che il gruppo vive, attraverso foto, video, articoli e di conservare così la memoria del nostro cammino;
4. Teatro (giallo): questo gruppo ha la missione di preparare, cimentandosi nell’arte della recitazione, una piccola drammatizzazione a tema, da presentare al gruppo alla fine del periodo della propria missione;
5. Bans-giochi (verde): ha la missione di animare con i bans e i giochi i momenti del gruppo, soprattutto nel quadrato e nelle uscite.
Ogni squadriglia porta avanti la sua missione per un mese, e alla fine di questo periodo si cambia con le altre squadriglie – verificando se c’è stato gioco di squadra – per avere la possibilità nel corso dell’anno di affrontare tutte le missioni.
È una sfida molto importante, che ha anche lo scopo di aiutarci a diventare più responsabili nel nostro cammino e ce la metteremo tutta per portarla a termine.
Squadriglia bianca

Il Sentiero del Mago…

Mi sono recentemente cimentato nell’appassionante lettura del poema epico “Gli Idilli del Re” nel quale, Alfed Tennyson , grande poeta inglese dell’800, rivisita una delle più incantevoli relazioni che siano mai state descritte nei secoli passati: quella fra Merlino e il giovane Artù nella grotta di cristallo.
Il punto di vista di questo libro e di altri testi sul ciclo arturiano, è che la grotta di cristallo è un luogo privilegiato del cuore umano. Il rifugio sicuro dove la voce della saggezza non conosce paura e il tumulto del mondo esterno non può entrare. C'è sempre stato un mago nella grotta di cristallo e continuerà ad esserci in eterno: bisogna solo entrarci e disporsi ad ascoltare.
Con parole non mie e prendendo spunto da varie interpretazioni, mi accingo a farvi varcare l’uscio di questa grotta, con la speranza che possiate abbeverarvi all’antica saggezza di questi insegnamenti. Avanti dunque, eccovi la prima lezione.
Disse Merlino ad Artù: “Vi è un insegnamento chiamato sentiero del mago. Ne hai mai sentito parlare?" Il giovane Artù sollevò lo sguardo dal falò che stava cercando di accendere e rispose : "No, non ne ho mai sentito parlare.  Maghi? Vuoi dire gente che agisce in modo diverso da noi?" "No, fanno come noi" riprese Merlino. "Io sono l'ultimo a conoscere questo sentiero e forse tu sarai l'ultimo ad apprenderlo". Artù alzò gli occhi dal fuoco e, attratto dal fascino di quel nuovo messaggio, pensò tra sé:  “Merlino un mago?” Non gli era mai venuta in mente una cosa del genere. I due erano vissuti tutti soli nella foresta e nella grotta di cristallo e Artù, che aveva circa dieci anni , non ricordava di aver mai conosciuto altre persone oltre a Merlino.
"Vedi, presto te ne andrai da qui" proseguì Merlino. "Andarmene? Che cosa vuoi dire?" domandò il giovane.
 "Ti mando nella palude, o, come dicono i mortali, nel mondo. Per tutti questi anni ti ho tenuto lontano dalla palude e ti ho insegnato qualcosa che non devi dimenticare, il sentiero del mago". Poi davanti a lui comparve un grosso blocco di pietra da cui fuoriusciva in parte una spada. “Che cos’è?” domandò turbato Artù. “Nulla” rispose Merlino. “Ma non te la dimenticare”. Poco dopo, la visione della spada nella roccia cominciò a svanire ed il ragazzo ebbe voglia di piangere. Aveva compreso che quell’apparizione era il saluto di Merlino, il segno dell’addio e l’inizio di un nuovo cammino.
Dopo qualche tempo, infatti, si ritrovò a Londra in una nevosa mattinata natalizia, fuori della cattedrale dove la spada nella roccia era misteriosamente riapparsa. Fra lo stupore della folla estrasse la spada (impugno il suo destino) e proclamò il diritto ad essere re vivendo ed insegnando i segreti che aveva appreso dal suo maestro e ponendosi a capo di una compagnia di cavalieri, votata al bene comune, intesa a raddrizzare i torti, proteggere i deboli, insegnare a tutti l’amore per una via casta, leale, onesta, capace di abbassare “...nell’uomo il suo orgoglio e di insegnargli alti pensieri, desiderio di amore per la verità e tutto quel che fa di un uomo un UOMO”.  Considerandolo specchio di Cristo Salvatore i suoi compagni in coro canteranno: “Il Re seguirà Cristo e noi il Re”.
Cos'è un mago? Non è uno che sia semplicemente in grado di fare della magia, ma qualcuno capace di provocare una trasformazione. Un mago può trasformare la paura in gioia, la frustrazione in soddisfazione. E’ capace di attuare la metamorfosi delle nostre caratteristiche più grette: odio, ignoranza e vergogna, in quanto esiste di più prezioso: Amore e Soddisfazione. Quindi chiunque sia capace di insegnare a diventare una persona libera e piena d'amore è per definizione un mago. Il sentiero del mago non ha un collocamento temporale: è ovunque e in nessun posto. Appartiene a tutti e nessuno.
Un giorno un discepolo si recò da un grande maestro e chiese: “Perché mi sento così oppresso interiormente, come se volessi mettermi a urlare?Il maestro rispose: “Perché è così che si sentono tutti.”
Tutti desideriamo espanderci in amore e creatività, esplorare la nostra natura spirituale, ma spesso qualcosa ci viene a mancare. Ci richiudiamo nelle nostre prigioni.Vi è, però, qualcuno che è riuscito a spezzare i vincoli che rendono così ristretta la vita, affermando che la nostra eclissi è temporanea e ci insegna a trovare il mago interiore. E' eccitante scoprire che non siamo prodotti della costrizione, della precarietà e delle crisi economiche, ma figli del miracolo.
Questa è la verità racchiusa nella grotta di cristallo, come in quella di Betlemme, la realtà profonda che riguarda ognuno di noi e che per troppo tempo è rimasta nascosta:  Il mago è dentro di Noi e desidera una cosa sola, NASCERE.
Vincenzo Salomone

“È donando che si riceve”

Dormivo e sognavo che la vita era gioia, mi svegliai e vidi che la vita era servizio. Volli servire e vidi che servire era gioia” (R. Tagore).
È proprio con questa citazione che è partita la nostra esperienza all’insegna del servizio verso gli altri. Venerdì 25 novembre noi ragazzi del 1° giovanissimi ci siamo incontrati per la nostra catechesi. In Cattedrale i nostri educatori ci hanno detto che questa sarebbe stata una catechesi “diversa” da tutte le altre. Siamo stati raggiunti da Franco Sifanno, operatore pastorale della nostra Comunità impegnato da molti anni nei progetti caritas e nel volontariato.
Ci siamo incamminati verso la stazione, nei pressi di piazza Umberto, mentre la nostra testa, curiosa, si riempiva di tanti pensieri. Giunti lì abbiamo trovato un gruppo di circa 100 persone, composto sia da italiani che da extra-comunitari, in attesa che venisse offerto loro un pasto caldo. Eravamo sorpresi ed anche un po’ intimoriti da quella realtà che non conoscevamo. È bastato poco a farci cambiare idea. Una bambina di cinque anni, Sara, ci ha accolto come noi avremmo dovuto accogliere loro. Abbiamo incominciato a giocare con lei, ad ascoltare le loro storie, ci siamo fidati l’uno dell’altro. Successivamente ci siamo divisi in gruppi ed abbiamo iniziato la distribuzione dei pasti.
Attraverso questa esperienza abbiamo compreso una parte del significato della parola “gratitudine” e di quanto un semplice sorriso possa infondere gioia e creare una relazione con l’altro. A volte siamo ciechi e vediamo solo quello che vogliamo vedere, quello che ci viene messo in evidenza. A due passi dal centro, non c’è solo lo sfarzo apparente delle vetrine di via Sparano, ma anche la triste realtà di persone sole, bisognose di ritrovare la propria dignità. Tutti noi, giovanissimi e non, siamo chiamati ad andare con gratuità e amore verso il prossimo.
Auguriamo Buon Natale a tutta la Comunità della Cattedrale, che quotidianamente ci sostiene con la preghiera  e c’insegna che: “È donando che si riceve!”.
I ragazzi del 1° giovanissimi

“De-sideribus”: il cammino dei Giovani con i 10 Comandamenti.


Quest’anno noi Giovani abbiamo intrapreso il nostro percorso catechetico scegliendo di riflettere sui 10 Comandamenti. Tutti noi, per sommi capi, li conosciamo bene, o almeno crediamo, ma ci è bastato cominciare a riflettere sulle “dieci parole”, a partire dalle ultime due, per capire che effettivamente qualcosa ci sfugge.
Non desiderare la donna d’altri”, “non desiderare la roba d’altri”. Il verbo comune all’IX e X comandamento è “desiderare”. Cosa significa “desiderare”? E che valore ha questo verbo, oggi, per noi?
Sappiamo che spesso il significato che gli è attribuito, associato ai comandamenti, è fortemente negativo. Eppure l’origine di questa parola ha in sé qualcosa di grande, di … celeste: “de sideribus”, dalle stelle. Allora perché ci leggiamo di primo acchito qualcosa di negativo?
Forse perché dal cielo, noi, ci siamo un po’ allontanati: ci imponiamo di abbandonare qualcosa, di correre lontano, di fuggire a noi stessi. Il problema, allora, potrebbe essere che ... abbiamo smesso di desiderare ciò che è veramente desiderabile. Abbiamo smesso di guardare con occhi speranzosi negli occhi di qualcuno, abbiamo smesso di parlare con fiducia a qualcuno, abbiamo imparato a fuggire dai nostri desideri, abbiamo dimenticato come questi si affrontino. Ma prima di tutto abbiamo dimenticato la natura celeste di essi: siamo nati dal desiderio di un Dio che ci ha guardati con occhi pieni di speranza  e che continua a parlarci con fiducia, che non ha mai smesso di offrirci la salvezza e che mostra ogni giorno, con gratuità, il suo amorevole desiderio.
Perché fuggire dai propri desideri? Perché non farli parlare per imparare a riconoscere ciò che attraverso di loro si annuncia?
Torniamo a sperare, torniamo a convivere con noi stessi, torniamo a sognare ad occhi aperti, con occhi puri e innocenti, con gioia e carità. Torniamo a desiderare quell’amore sincero e onesto che da sapore alla vita. Torniamo a credere nei nostri desideri più profondi per questo Natale e sotto l’albero, spesso colmo di  “falsi-bisogni”, riscopriremo il dono che può davvero riempire i nostri cuori e riportarci presso il cielo.
Melissa FELLO

Bankenstein nel Paese di Acchiappacitrulli

Questa è la breve storia di Bankestein, un antico orafo che accumulava oro e argento e il cui unico scopo nella vita era il prestigio e il potere. Sognava di: “POSSEDERE TUTTO IL PIANETA PIU’ IL 5%” e per attuare il suo piano non ebbe scrupoli a ingraziarsi i responsabili più in vista del suo governo con regali e sovvenzionamenti.
Ai suoi tempi le gente scambiava ricchezza e servizi con il baratto, l’oro o l’argento. Tutti mantenevano le loro famiglie autonomamente. I giorni di mercato erano rumorosi e allegri.  In generale tutti erano felici, godevano del frutto del proprio lavoro e si sentivano liberi di intraprendere. La precarietà era un concetto sconosciuto.
Bankenstein, sempre più eccitato dal suo piano di conquista, convocò l’assemblea cittadina e fece un annuncio: “Ho trovato una soluzione migliore del baratto, si chiama CARTA-MONETA. Trasportare carichi d’oro o argento per fare acquisti comporta fatica e il rischio di furti, mentre le merci deperiscono presto. Quindi batterò questa carta-moneta e la chiameremo dollaro. Grazie al dollaro potremo pagare qualsiasi cosa“.
Uno dei governanti, non corrotti e inviso a Bankenstein, notò: “Sarebbe più giusto che sia il Governo a battere moneta in nome del popolo e a garantirla con riserve d’oro o d’argento”.  “L’idea è mia, ma quello che dici è corretto. Faremo in questo modo” disse subito Bankenstein, ammiccando con l’occhiolino ai suoi amici del governo. “Solamente le banconote stampate nella mia banca, che, anche se privata, chiamerò BANCA CENTRALE, avranno corso legale. Io le consegnerò al governatore, eletto dal governo, che le approverà, né stabilirà il valore nominale e le distribuirà al popolo, rendendosi egli stesso garante della restituzione  attraverso OBBLIGAZIONI DI STATO redimibili con prelievo fiscale dai redditi annuali di ciascun cittadino. Se qualcuno cercherà di produrle in proprio sarà imprigionato”. 
“Ma tu che cosa ne avrai in cambio?” chiese lo stesso rompiscatole di prima. “Converrete che devo pur vivere anch’io e, per questo mio servizio, ho diritto ad essere pagato. Diciamo che per ogni 100 monete prestate , me ne dovrete restituire 105 per ogni anno di indebitamento. Le 5 monete in più saranno il mio ricarico che chiamerò INTERESSE”. Sembrava non ci fosse altra soluzione e a tutti il 5% sembrò una cifra ragionevole. Pertanto Bankenstein si mise subito al lavoro e notte e giorno cominciò a stampare moneta. La gente faceva la coda per farsi prestare il denaro e la cosa sembrava meravigliosa. A ogni prodotto  o servizio fu assegnato un valore che fu chiamato PREZZO, proporzionato al tempo necessario per produrlo. Fu così che molti cominciarono a vivere al di sopra delle proprie possibilità abbagliati dall’abbondanza di carta-moneta.
Passò un anno e Bankenstein cominciò a chiedere la restituzione del denaro prestato. Alcuni si ritrovarono più di quello che avevano preso, ma questo significava che altri ne avevano di meno poiché le banconote coniate e distribuite erano in quantità ben definita. Quelli che avevano di più, restituirono per ogni 100 monete 105 monete, ma dovettero continuare a prenderne in prestito per andare avanti.  Gli altri scoprirono per la prima volta che avevano un debito.  Non potendolo saldare, firmarono delle IPOTECHE sulle loro proprietà e si impegnarono a pagare un’ulteriore interesse. E così passò il primo anno, poi il secondo, il terzo e il debito si moltiplicò a dismisura per generazioni senza nessuna possibilità di estinzione.
Nessuno all’inizio capì che la comunità, presa nel suo insieme, non avrebbe mai potuto soddisfare il debito finché tutte le banconote non fossero state restituite, ma anche allora sarebbero mancate quelle 5 in più che non erano mai state coniate. Solamente Bankenstein si rendeva conto che era impossibile pagare l’interesse semplicemente perché quelle 5 banconote in più non esistevano. Il suo sogno era diventato realtà.
Fu così che nacque  (per dirla in breve) il  DEBITO PUBBLICO della storia dell’uomo. Una colossale truffa che, complici governi e alcuni mezzi di informazione, da qualche secolo viene perpetrata ai danni dei popoli.  Incredibilmente gli stati sovrani (che dovrebbero stampare e distribuire moneta garantendone il valore con beni reali quali oro e argento) comprano denaro virtuale dai banchieri privati (Banca d’Italia, BCE, Federal Reserve, d’Inghilterra, di Francia etc., tutte socie tra loro), che lo vendono senza alcun controvalore in oro. Spendendo solo il costo tipografico, pochi centesimi per biglietto stampato, guadagnano da ogni banconota il valore nominale e un interesse cumulabile vita-natural-durante che in Italia ammonta ormai a 1.900 miliardi di euro ( pari a Lire 3.678.913.000.000.000.000).  Nel nostro paese il giurista Prof. Giacinto Auriti, proprio per truffa ai danni degli italiani, ha denunciato l’8 marzo 1993 la Banca d’Italia (in rete sono pubblicati gli atti del processo), mentre in America fu Kennedy che, 6 mesi prima di essere ucciso, cercò di abolire questo abuso col decreto 11110 tutt’ora vigente ma inapplicato da tutti i  successivi presidenti, compreso quello attuale.
Sono in molti oggi a credere che questa sia una bella favola. Il popolo argentino ne ha fatto diretta esperienza quando, presentandosi a ritirare i soldi depositi, si è sentito dire che non esistevano più.
Questo governo, fatto di persone senz’altro più composte di chi li a preceduti (ma ahimè  banchieri),  ha purtroppo dimostrato che per avere lana si possono tosare solo le pecore, confermandosi garanti dei gruppi di potere.   A noi non resta che continuare ad aver fede in un futuro solidale e dire a quest’altro Monti, “spostati, e anch’esso si sposterà” (Mt 17, 14-21).
A cura di Vincenzo SALOMONE
Ispirato al libro Bankenstein di Marco Saba

STANZA BETANIA


L’ultimo progetto Caritas nato nella nostra comunità parrocchiale e già attivo, è quello di ridare piena dignità a persone che, per svariati motivi, si trovano in un processo di esclusione e marginalità: stanza Betania. Un luogo che offre in piena gratuità, ospitalità notturna a pellegrini, mamme con figli, parenti di persone ricoverate, ex detenuti, immigrati, etc. Questo posto di prima accoglienza è formato da una stanza arredata con tutti i confort e suppellettili, da due letti, un bagno con doccia. Stanza Betania si trova in una delle stanze dei locali di San Giacomo, che è stata ed è un punto di riferimento per i pellegrini che di passaggio per la Terra Santa chiedevano ospitalità prima di imbarcarsi per continuare  il loro cammino di fede.
La scelta di chiamarla “Stanza Betania” fa riferimento proprio alla località molto cara a Gesù, citata nei Vangeli in diversi episodi, paese dei suoi amici Marta, Maria e Lazzaro, nella casa dei quali amava ristorarsi. Un grazie ai benefattori che hanno dato la possibilità economica di realizzare materialmente questo progetto di accoglienza. Cerchiamo di avere uno sguardo attento e amorevole verso questi nostri fratelli. Non chiudiamoci nelle nostre case, apriamoci al mondo e soprattutto non dobbiamo aver paura di amare … qualcuno ci ha amato fino alla croce. Buon Natale.

Franco SIFANNO

Sulle tracce del Natale … di Gesù. (da una catechesi alle famiglie del post-battesimo)


L’Evento che ha diviso la storia tra un “prima” e un “dopo”, si ripresenta a noi in tutta la sua suggestiva atmosfera di luci e note. Peccato che spesso il contorno prenda il sopravvento sull’essenziale, distraendoci dall’umiltà della stalla di Betlemme.
La frenesia dei giorni di festa, la corsa agli ultimi regali, l’estetista, il parrucchiere, la spesa per il cenone, l’abito nuovo per la messa di mezzanotte, distolgono l’attenzione dal festeggiato, dal significato profondo del Natale stesso.
E noi? Come accogliamo il Signore nascente in casa nostra? A guardar bene si vede quanto siamo “strangolati” da un clima natalizio che di religioso mantiene solo la parvenza esteriore.
Qualcuno ritiene che si può vivere intensamente il Natale se si partecipa alla novena per tutti i nove giorni senza interruzione; qualche altro crede che basti andare alla Messa di mezzanotte e partecipare alla “processioncina” di Gesù Bambino per sentirsi bene con la propria coscienza; qualche altro pensa che sia sufficiente preparare un bel presepe. L’elenco potrebbe ancora continuare. Ma ci chiediamo: è solo questo il Natale? Non possiamo non interrogarci, non riflettere, non rispondere?
E allora? Allora, proviamo a riscoprire in noi le motivazioni che spinsero i nostri padri a celebrare questa festa e, sicuramente, scopriremo che ancora oggi è bello vivere nella fede un evento così straordinario. Proviamo a ritornare alla Sacra Scrittura, a rileggere con calma e passione le pagine della Bibbia (specialmente i Vangeli di Matteo e Luca) che si riferiscono alla nascita di Gesù, Figlio di Dio; a lasciarci guidare dall’insegnamento della Chiesa: allora scopriremo la sorgente della nostra fede e comprenderemo la vera motivazione di una festa così importante. Riusciremo a scorgere la presenza del Dio Bambino nel volto di chi mi sta accanto, di chi soffre, di chi è solo, di chi è povero. Riusciremo ad essere comunità che accoglie le diversità dell’altro e le integra in un contesto di sacra famiglia. Non è un discorso utopico o anacronistico? È la Speranza che Cristo continua a seminare nel terreno della nostra storia.
Buon Natale! Un Natale diverso, con Gesù al centro!
Angelo e Dina LEPORE

SAN GIACOMO... APERTA

Un giorno don Franco mi chiese: “Caro Enzo, vuoi tenere aperta un paio di giorni la settimana la chiesa di San Giacomo?”
Accettai con molto piacere la proposta, perché ho sempre frequentato e amato, sin da ragazzo, quella chiesa graziosa. Questa esperienza mi ha fatto sperimentare quanto essa sia apprezzata, per la sua bellezza, sia dai bar esi, sia dai turisti che arrivano durante il periodo delle crociere. La chiesa è senza dubbio bella, ma in ragione della sua vetustà necessità di restauri. Man mano che l’esperienza è andata avanti si è messo a disposizione dei visitatori una piccola brochure che illustra la storia della chiesa, arricchita di informazioni sugli stucchi, sulle tele, sui marmi e sulla pavimentazione maiolicata. Inoltre, quando è aperta, un fievole brano di musica sacra  accompagna la permanenza di chi visita. Questa attività, per me inusuale, mi ha fatto scoprire la gioia di appartenere a una “comunità parrocchiale”, anche se prima partecipavo alla santa messa della domenica sera con mia madre che non c’è più.  Questa gioia mi ha portato anche a partecipare alla catechesi che don Franco tiene il martedì e, ogni giovedì in San Giacomo, all’adorazione eucaristica.
Enzo GIORGIO

mercoledì 23 novembre 2011

LA COMUNITÀ: CASA E SCUOLA DELLA SEQUELA

La nostra Comunità parrocchiale non è formata da persone che si sono scelte per affinità caratteriale, o che  sono amici di vecchia data, ma è formata da persone che sono stati “chiamati” dal Padre di Gesù, a seguirlo, a imitarlo e ad annunciarlo e a formare la famiglia di Dio nel “territorio” del centro storico di Bari.

I rapporti  relazionali tra i battezzati, chiamati a vivere da fratelli nello stile di Gesù, sono fondati sulla lealtà, sull’onestà,  sulla cultura del dono di sé, sul servizio disinteressato, quale base per vivere insieme un servizio di lode e di  amore al Padre. Dunque, la comunità parrocchiale è un laboratorio dello Spirito dove ci  si sperimenta, ci si allena ad amare Dio nella preghiera e ad amare l’altro come fratello nello stile del servizio evangelico.
Ora, viviamo in un tempo di soggettivismo, dove la logica dell’Io prevale sulla logica del noi. La comunità è, infatti, un luogo umano dove si impara la ricerca del bene comune e il benessere della persona nella sua individualità. Oggi fare Chiesa, comunità di vita fraterna e di amore nel Signore, è una scelta profetica che ci pone nel territorio della Città vecchia, quale segno di una fraterna umanità plasmata e costituita sui valori della gratuità, dell’onestà, della generosità, dell’umiltà.

La parrocchia ci invita, dunque, a non cedere alla cultura soggettivistica, ma a coltivare lo stile di Cristo che si è incarnato, inculturato, nel tessuto umano e sociale del territorio in cui siamo chiamati a vivere la storia, quale luogo di salvezza.
In fondo, la parrocchia è il luogo dove è possibile “camminare e vivere” il vangelo dentro le forme della vita quotidiana. La parrocchia si trova, infatti, dentro questo territorio, il centro storico, e pertanto deve confrontarsi con coloro che vivono in esso.

Noi cristiani non andiamo a scegliere un territorio piuttosto che un altro, ma vogliamo vivere il Vangelo dentro le realtà della vita quotidiana di questo popolo, amandolo per interfacciarlo, connetterlo, metterlo in rete, in dialogo con Dio.

La comunità parrocchiale è una esperienza di vita cristiana, dove ci si “allena”, nella carità di Cristo, ad essere simili al suo cuore, ad amare come lui ci ama.
Don Franco

CRISTO-SPOSO

Negli itinerari di catechesi per gli adulti ricorre spesso il motivo di “Cristo-sposo”. È il caso, pertanto, di dare un cenno all’origine di questa immagine cristologica e all’evoluzione dei significati che le sono stati attribuiti nel  corso della Storia della Chiesa. In primo luogo è lo stesso Gesù a utilizzare l’immagine dello sposo (Mc  2,19-20), anche se è molto probabile che nel contesto del suo annuncio apocalittico (“Il tempo è compiuto e  il regno di Dio è vicino”- Mc 1,15) lo sposo rappresenti il regno di Dio ormai arrivato, e gli invitati a nozze  coloro che ne beneficiano. Il primo esplicito riferimento a Cristo-sposo lo fa san Paolo in 2 Cor 11,2, passo  in cui l’Apostolo rappresenta la sua azione evangelizzatrice nei confronti della comunità di Corinto da lui  fondata con l’immagine di chi promette la vergine casta all’unico sposo, Cristo.

Questa immagine è poi ripresa  in testi successivi del Nuovo Testamento, come Ef 5,22-33 e Ap 19,7- 8, dove Cristo è  rappresentato come sposo di tutta la Chiesa. Addirittura, Gv 3,29 allude all’immagine del “Cristo-sposo che  possiede la Chiesa-sposa”. Infatti, in Gv 3,29 il Battista si autodefinisce l’“amico dello sposo”, un personaggio importante nel cerimoniale matrimoniale antico, in quanto non solo organizzatore della festa nuziale, ma anche  colui che, altermine della stessa, accompagna lo sposo fino alla soglia della stanza nuziale dove lo attende la  sposa, e resta lì in attesa della voce dello sposo, voce che confermerà la verginità della sposa e gli consentirà  di annunciare a tutti l’avvenuta regolare consumazione.

Nel medio evo l’immagine di Cristo-sposo assume  connotazioni di carattere più personale: prendendo le mosse da un testo dell’- Antico Testamento, il Cantico  dei Cantici, nasce la tendenza a vedere Cristo come sposo amato e atteso dall’anima di ciascun individuo. Il  testo, infatti, che nel canone ebraico simboleggia la relazione amorosa tra Adonai e Israele, descritta spesso  con indubbi tratti affettivi ed erotici, diventa simbolo di una relazione in cui Cristo non è solo il destino della comunità, ma, nella coscienza di ciascuno, l’oggetto del desiderio, l’amato che solo è capace di appagare l’ardente attesa di realizzare la propria esistenza.

Essendo allora l’“attesa” l’atteggiamento che caratterizza il  tempo liturgico dell’Avvento, si potrebbe concludere la riflessione proposta constatando che l’accorata preghiera con cui si apre la Liturgia della Parola del nuovo anno liturgico secondo il ciclo B, “Se tu squarciassi  i cieli e scendessi!”, trova nel motivo del Cristo-sposo una realizzazione che va ben oltre le  speranze del profeta. 
Gennaro Capriati

All’Oratorio? … … … Io ci sono!!!


Lo scorso 21 Novembre ha preso inizio l’esperienza dell’Oratorio serale in San Giacomo. Per ora occuperà solo due sere (lunedì e mercoledì), dalle 19.30 alle 21.30. Quello dell’oratorio è uno spazio che la nostra comunità conosce bene, che ha vissuto diverse volte nella sua storia e in diversi modi e che certamente continua ad essere un luogo in cui i ragazzi (soprattutto quelli un po’ ai margini della vita della parrocchia) hanno la possibilità, attraverso il gioco e le altre attività proposte, di crescere in maniera sana, armoniosa e soprattutto in allegria (secondo quanto diceva lo stesso S. Giovanni Bosco).

L’oratorio di S. Giacomo, però, non vuole essere soltanto un luogo in cui i ragazzi giocano, ma l’opportunità per tutta la fascia giovanile della nostra comunità di incontrarsi in maniera creativa, di coltivare relazioni significative, di avere uno spazio di incontro e di confronto sano, costruttivo e magari meno formale di altri appuntamenti. Insomma, un luogo in cui condividere con gli altri la gioia di appartenere alla famiglia di Gesù, e di mettere in circolo con generosità le ricchezze umane e spirituali che il Buon Dio ci ha donato. La parola d’ordine è semplicità, una qualità da riscoprire in un mondo a volte così artificiosamente complesso. Tutti siamo invitati a sentire questa esperienza come parte della vita della comunità e a sostenerla generosamente, soprattutto con la preghiera, perché porti frutto.
Don Alessandro

L’ Avvento nei tuoi sogni

La penna sporca il foglio e le parole non escono. Vorrei parlare di “attesa”; di questo ci parla l’Avvento che si apre. Solo che troppo spesso i volti che incontriamo non attendono più nulla. E non solo perché il dolore li ha inchiodati alla rassegnazione. I più hanno semplicemente troppo: troppe cose, troppe parole, troppa confusione, troppa trasgressione, troppi messaggi, troppo di tutto ciò che vogliono … o che credono di volere. E hanno perso le ali dei sogni. Sì, perché sognare mette le ali: se attendi qualcosa, se la vuoi veramente le voli incontro. Ma se hai tutto ciò che credi di volere e ti accontenti di un ammasso di cose, tu il cielo non lo guardi nemmeno.

Tutti gli uomini grandi hanno sognato, atteso, sperato qualcosa che ancora non c’era o non c’era in pienezza, e a costo di tutto hanno inseguito, raggiunto ciò che attendevano. I santi attendono Dio, attendono il suo regno già qui sulla terra, e spesso il mondo li giudica pazzi o ingenui o sognatori. Forse sono semplicemente poveri e sanno di esserlo; a loro non bastano i voli a bassa quota di questo mondo. Solo chi è povero attende qualcosa, solo chi è vuoto può essere riempito. Il cammino per imparare ad attendere è quindi un cammino contrario alla logica del mondo; è un cammino alla scoperta della nostra povertà che grida di essere colmata.

Il problema però è che in fondo tutti siamo poveri, ma la maggior parte della gente fa di tutto per dimenticarsene e vive saltellando da un desiderio meschino all’altro, mentre potrebbe volare libero nel cielo. Prima di riempire le tue borse di regali, in questo Avvento, fermati ad ascoltare i tuoi sogni, le tue attese e le tue speranze, scopri che neanche a te bastano gli orizzonti bassi della mediocrità. Non sono bastati a Maria, la più povera fra i poveri, la Vergine dell’Attesa; e la sua sete ha attirato sulla terra il Dono più grande. Invocala in questo Avvento, e ascolta la sua povertà: troverai la tua strada. 
Attilio Fasano

Lo sapevate che … di Michele Cassano

Carta Scenografica Città di Bari(Particolare)
Dopo la dominazione araba, la nostra città tornò volontariamente sotto il dominio bizantino. Essi governarono la città per mezzo di un governatore chiamato catapano, la cui residenza fortificata era nel luogo, ove ora sorge la basilica di san Nicola. I Greci tennero la città abbastanza in pugno, pur attraverso ripetute traversie politiche, sino a quando il loro giogo fu scosso dal barese Melo, un nobile di origine longobarda, che unitamente al cognato Datto, riuscì ad organizzare, nel 1009, una violenta rivolta.

Dopo ave riportato diversi successi Melo e Datto rimasero vittime di una congiura e furono costretti a fuggire da Bari, per non cadere prigionieri dei greci. Datto andò a rifugiarsi sul Garigliano, in una torre di proprietà papale, mentre Melo, recatosi sul Gargano, prese contato con alcuni normanni, venuti in pellegrinaggio alla grotta dell’Arcangelo Michele. L’audace barese riuscì a convincere quei normanni ad aiutarlo nel riprendere la lotta contro i Bizantini. Difatti, di lì a poco, giunse in Italia, dalla Normandia, una scelta schiera di guerrieri normanni. Nel 1017 fu ripresa la guerra.

Dopo una serie di successi riportati contro il catapano Basilio Mesardonita, Melo dovette affrontare le schiere del nuovo catapano Basilio Bugiano, contro del quale conseguì dapprima una vittoria a Vaccarizza in Capitanata, ma venne poi ripetutamente sconfitto, prima di subire una disfatta a Canne, nell’ottobre del 1019. Dopo questa sconfitta, Melo andò a rifugiarsi in Germania, presso l’imperatore Enrico, nell’intento di coinvolgerlo nella guerra contro i Bizantini, ma, nel 1020,passò a miglior vita portando nella tomba i sogni inappagati di libertà per la sua città.

L’imperatore che, in segno di amicizia lo aveva nominato duca di Puglia, lo fece seppellire con onori regali nel duomo di Bamberga, fra le tombe dei più illustri personaggi dell’impero. In un museo della città di Bamberga si conserva un ricco mantello di velluto,che Melo aveva donato all’imperatore. Suo cognato Datto, rifugiatosi nella torre del Garigliano, fu raggiunto dalla vendetta dei Bizantini che, presolo prigioniero, il 21 giugno 1021 lo fecero entrare in Bari a cavallo di un asina, prima di cucirlo in un sacco e di scaraventarlo in mare. A questi due personaggi sono dedicate due strade della nostra città. Alla prossima …

FORMARSI PER EDUCARE: I WEEKEND CON LA CREATIVE

“Oggi devo fermarmi a casa tua!”. L’invito di Gesù a Zaccheo dà il titolo ai progetti CREATIVI di quest’anno per i corsi di formazione degli educatori. In questo incontro Gesù crea una relazione e suscita desiderio di ricerca della via della salvezza, ciò che un educatore deve suscitare in un ragazzo/a che gli è affidato. 

ll 5 e 6 novembre si è tenuto il primo di una serie di week end che prevedono diversi moduli con varie  tematiche. 
Il primo modulo, al quale hanno partecipato alcuni catechisti dell’Iniziazione, dello Shalòm e dei Giovanissimi insieme ad altri catechisti ed educatori della nostra diocesi, con il sottotitolo “Orientare alla vita”, ci si è presentato come un nuovo modo di considerare l’educatore: vederlo come un talent scout, cercatore di nuovi  talenti, cercatore del meglio in ogni ragazzo.

Ci sono state suggerite alcune tecniche - attività - giochi da poter organizzare nel corso degli incontri di catechesi, tutte molto interessanti e divertenti, che hanno coinvolto in prima persona gli educatori. L’educatore annuncia l’amore che Cristo ha per noi, trasmette i contenuti della Dottrina della Chiesa Cattolica e stimola il ragazzo a guardarsi dentro e scoprire il suo talento.

L’arte dell’educatore è proprio quella dell’osservazione e dell’incoraggiamento, consapevole che ogni persona è“valore” e che in tutti è possibile scoprire tesori inestimabili; infatti, “educare” significa e-ducere, “tirare fuori”. Per far questo l’educatore deve disporsi ad accogliere l’altro, ad ascoltarlo ed entrare in empatia con lui per partecipare alla sua esperienza in modo da offrirgli la concreta possibilità di riconoscere i doni da lui posseduti, per poterne godere nella vita. Tutto questo richiede impegno e disponibilità da parte dell’educatore a lavorare su se stesso per essere davvero in grado di guidare quel talento che ha senso se condiviso.
Katia Pepe

Insieme con gioia. L’uscita a Napoli dei Giovanissimi.

Già da qualche settimana sono riprese in parrocchia le varie attività, le catechesi e con loro anche le uscite. Proprii ragazzi del Gruppo Giovanissimi, il 30 Ottobre, siamo stati a Napoli per ammirare le bellezze della città, nonostante spesso venga definita brutta e pericolosa, giudizio che spesso viene esteso anche alla gente che vi risiede.
La nostra prima tappa è stata Piazza del Plebiscito; una grande piazza che siamo abituati a vedere in TV,  perché sfondo di tanti film ed eventi importanti. La chiesa che caratterizza la splendida piazza, dedicata a San  Francesco da Paola, richiama le forme del Pantheon, ed ha lasciato tutti noi senza fiato; il Palazzo Reale con il  suo magnifico teatro privato e le sale principesche: che dire, meravigliosi!!! Era tutto rigorosamente dorato  con maestosi dipinti e oggetti di valore inestimabile.

Un momento che mi ha colpito in particolar modo di  questa giornata è stata la salita con la funicolare da Via Toledo per arrivare nella parte più alta di Napoli, sulla  collina del Vomero, per poi raggiungere la Certosa di San Martino. Il panorama era incantevole. Dopo una   breve pausa, abbiamo visitato la Chiesa della Certosa, decoratissima al suo interno, il chiostro grande, ed  infine il museo nazionale di San Martino, nel quale erano esposti anche dei presepi straordinari. 

Giunti a Bari eravamo davvero stanchi, ma pur sempre contenti della giornata  trascorsa. È stata un’esperienza che ha aiutato molto il nostro gruppo e che penso sia stata molto positiva  anche per i nuovi ragazzi che cominciano quest’anno il cammino con i giovanissimi, aiutandoci a vivere subito  l’accoglienza e la gioia di camminare insieme. 
Liliana Colaianni

Caro nonno, a noi che resta?

Caro nonno,
ricordo quando tu, orgoglioso e fiero della tua Italia, mi raccontavivi dell’infanzia passata in strada tra i giochi e gli amici di sempre e i primi lavoretti per portare a casa qualche soldo per la famiglia, tra la spensieratezza di quegli anni e le prime responsabilità di cui ti facevi carico. 
Mi raccontavi degli anni della guerra, la paura per ogni aereo che sorvolasse la città, e di quel uomo, tale Romito Michele, che da semplice cittadino, l’aveva difesa durante la Resistenza con coraggio e onore.
Mi raccontavi della povertà, di una cartella fatta di cartone, di scarpe rotte e gelide, ma con entusiasmo mi hai insegnato a far colazione con latte e pane e ad aspettare l’estate per correre scalzo verso il mare. Mi raccontavi di un’Italia piccola, povera, ma giovane, fiera e vivace; un’Italia guidata da uomini che con onore hanno dato vita alla Repubblica, che hanno passato notti intere a redigere la nostra Costituzione; un’Italia che aveva cominciato a spiegare le ali nei cieli d’Europa; un’Italia in cui ci si sentiva davvero italiani.
Sai, vorrei che i miei nipoti leggessero nei miei occhi il tuo stesso entusiasmo, invece mi ritrovo a sperare di non dover mai dire loro: “La mia Italia era confusa, non sapeva mai dove andare. Aveva solo 150 anni, ma un animo ormai invecchiato. Le era stata regalata una Costituzione bellissima, ma aveva un animo ferito dalla corruzione.
Era ornata di coste di ricchezze, campagne di speranze, montagne di sogni ma, la mia Italia, aveva un animo ormai inaridito dalla smania di potere. Per le sue strade erano raccolti libri di storia, ma aveva un animo svuotato dai ricordi calpestati dal “falso progresso”. Nella mia Italia la frase più ripetuta era “non lo so”.
In effetti io oggi non so se posso permettermi una cura adeguata ad ogni malattia, una tutela del lavoro che difenda il mio impegno e sacrificio, non so quanto valga la pena combattere per i miei sogni; non so se, nella mia Italia, mi è ancora permesso averne.
Come avere il tuo stesso entusiasmo nonno, se la mia Italia non mi permette di sognare? La mia Italia non mi permette di guardare con fiducia al futuro, non mi permette di scegliere serenamente nemmeno quali studi intraprendere.
Cosa resta a noi giovani che ci sentiamo pervasi dal dubbio di non esser protetti, tutelati, aiutati a costruire il nostro futuro? Cosa resta?
Ci resta il coraggio, quello di continuare a sperare in qualcosa di meglio, di continuare a credere che la nostra Italia ritrovi vigore, giovinezza, ritrovi la sua storia, la sua dignità, le sue certezze.
Ma ... mi chiedo: noi avremo mai il coraggio di sentirci ancora italiani?
Melissa Fello

Il - III Shalòm in uscita a Noci.


Noi del III Shalòm, il 12 e 13 novembre, abbiamo vissuto la prima uscita di fascia dell’- anno, in cui abbiamo passato due giorni presso la “Casa Hosanna” della Parrocchia S. Marcello, vicino all’abazia della Madonna della Scala di Noci.
Dopo il trasferimento in treno fino a Noci, tutti eravamo entusiasti all’idea di trascorrere più giorni insieme, condividendo ogni momento della giornata: dalle scenette proposte la prima sera (che avevano come tema “le icone del bene e le icone del male”), al preparare la cena insieme, passando per una notte in cui non si voleva proprio andare a dormire. La domenica mattina siamo andati a piedi all’abazia, che abbiamo avuto la possibilità di visitare, per poi ritornare alla base per celebrare l’Eucaristia, in maniera un po’ insolita, dato che ci trovavamo in mezzo alla natura. Dopo il ricco pranzo, siamo ritornati a casa.
Questa è stata per noi un’esperienza molto importante dato che, giunti all’ultimo anno del percorso Shalòm, sono per noi le ultime occasioni in cui vivere a pieno la nostra promessa, con la speranza di portare a termine il nostro percorso nel migliore dei modi, con tante conquiste e nuove ricche esperienze.
Marialessia Caricola
Maria Zampetta