ricordo quando tu, orgoglioso e fiero della tua Italia, mi raccontavivi dell’infanzia passata in strada tra i giochi e gli amici di sempre e i primi lavoretti per portare a casa qualche soldo per la famiglia, tra la spensieratezza di quegli anni e le prime responsabilità di cui ti facevi carico.
Mi raccontavi della povertà, di una cartella fatta di cartone, di scarpe rotte e gelide, ma con entusiasmo mi hai insegnato a far colazione con latte e pane e ad aspettare l’estate per correre scalzo verso il mare. Mi raccontavi di un’Italia piccola, povera, ma giovane, fiera e vivace; un’Italia guidata da uomini che con onore hanno dato vita alla Repubblica, che hanno passato notti intere a redigere la nostra Costituzione; un’Italia che aveva cominciato a spiegare le ali nei cieli d’Europa; un’Italia in cui ci si sentiva davvero italiani.
Era ornata di coste di ricchezze, campagne di speranze, montagne di sogni ma, la mia Italia, aveva un animo ormai inaridito dalla smania di potere. Per le sue strade erano raccolti libri di storia, ma aveva un animo svuotato dai ricordi calpestati dal “falso progresso”. Nella mia Italia la frase più ripetuta era “non lo so”.
In effetti io oggi non so se posso permettermi una cura adeguata ad ogni malattia, una tutela del lavoro che difenda il mio impegno e sacrificio, non so quanto valga la pena combattere per i miei sogni; non so se, nella mia Italia, mi è ancora permesso averne.
Come avere il tuo stesso entusiasmo nonno, se la mia Italia non mi permette di sognare? La mia Italia non mi permette di guardare con fiducia al futuro, non mi permette di scegliere serenamente nemmeno quali studi intraprendere.
Cosa resta a noi giovani che ci sentiamo pervasi dal dubbio di non esser protetti, tutelati, aiutati a costruire il nostro futuro? Cosa resta?
Ci resta il coraggio, quello di continuare a sperare in qualcosa di meglio, di continuare a credere che la nostra Italia ritrovi vigore, giovinezza, ritrovi la sua storia, la sua dignità, le sue certezze.
Ma ... mi chiedo: noi avremo mai il coraggio di sentirci ancora italiani?
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Niente volgarità