mercoledì 23 novembre 2011

LA COMUNITÀ: CASA E SCUOLA DELLA SEQUELA

La nostra Comunità parrocchiale non è formata da persone che si sono scelte per affinità caratteriale, o che  sono amici di vecchia data, ma è formata da persone che sono stati “chiamati” dal Padre di Gesù, a seguirlo, a imitarlo e ad annunciarlo e a formare la famiglia di Dio nel “territorio” del centro storico di Bari.

I rapporti  relazionali tra i battezzati, chiamati a vivere da fratelli nello stile di Gesù, sono fondati sulla lealtà, sull’onestà,  sulla cultura del dono di sé, sul servizio disinteressato, quale base per vivere insieme un servizio di lode e di  amore al Padre. Dunque, la comunità parrocchiale è un laboratorio dello Spirito dove ci  si sperimenta, ci si allena ad amare Dio nella preghiera e ad amare l’altro come fratello nello stile del servizio evangelico.
Ora, viviamo in un tempo di soggettivismo, dove la logica dell’Io prevale sulla logica del noi. La comunità è, infatti, un luogo umano dove si impara la ricerca del bene comune e il benessere della persona nella sua individualità. Oggi fare Chiesa, comunità di vita fraterna e di amore nel Signore, è una scelta profetica che ci pone nel territorio della Città vecchia, quale segno di una fraterna umanità plasmata e costituita sui valori della gratuità, dell’onestà, della generosità, dell’umiltà.

La parrocchia ci invita, dunque, a non cedere alla cultura soggettivistica, ma a coltivare lo stile di Cristo che si è incarnato, inculturato, nel tessuto umano e sociale del territorio in cui siamo chiamati a vivere la storia, quale luogo di salvezza.
In fondo, la parrocchia è il luogo dove è possibile “camminare e vivere” il vangelo dentro le forme della vita quotidiana. La parrocchia si trova, infatti, dentro questo territorio, il centro storico, e pertanto deve confrontarsi con coloro che vivono in esso.

Noi cristiani non andiamo a scegliere un territorio piuttosto che un altro, ma vogliamo vivere il Vangelo dentro le realtà della vita quotidiana di questo popolo, amandolo per interfacciarlo, connetterlo, metterlo in rete, in dialogo con Dio.

La comunità parrocchiale è una esperienza di vita cristiana, dove ci si “allena”, nella carità di Cristo, ad essere simili al suo cuore, ad amare come lui ci ama.
Don Franco

CRISTO-SPOSO

Negli itinerari di catechesi per gli adulti ricorre spesso il motivo di “Cristo-sposo”. È il caso, pertanto, di dare un cenno all’origine di questa immagine cristologica e all’evoluzione dei significati che le sono stati attribuiti nel  corso della Storia della Chiesa. In primo luogo è lo stesso Gesù a utilizzare l’immagine dello sposo (Mc  2,19-20), anche se è molto probabile che nel contesto del suo annuncio apocalittico (“Il tempo è compiuto e  il regno di Dio è vicino”- Mc 1,15) lo sposo rappresenti il regno di Dio ormai arrivato, e gli invitati a nozze  coloro che ne beneficiano. Il primo esplicito riferimento a Cristo-sposo lo fa san Paolo in 2 Cor 11,2, passo  in cui l’Apostolo rappresenta la sua azione evangelizzatrice nei confronti della comunità di Corinto da lui  fondata con l’immagine di chi promette la vergine casta all’unico sposo, Cristo.

Questa immagine è poi ripresa  in testi successivi del Nuovo Testamento, come Ef 5,22-33 e Ap 19,7- 8, dove Cristo è  rappresentato come sposo di tutta la Chiesa. Addirittura, Gv 3,29 allude all’immagine del “Cristo-sposo che  possiede la Chiesa-sposa”. Infatti, in Gv 3,29 il Battista si autodefinisce l’“amico dello sposo”, un personaggio importante nel cerimoniale matrimoniale antico, in quanto non solo organizzatore della festa nuziale, ma anche  colui che, altermine della stessa, accompagna lo sposo fino alla soglia della stanza nuziale dove lo attende la  sposa, e resta lì in attesa della voce dello sposo, voce che confermerà la verginità della sposa e gli consentirà  di annunciare a tutti l’avvenuta regolare consumazione.

Nel medio evo l’immagine di Cristo-sposo assume  connotazioni di carattere più personale: prendendo le mosse da un testo dell’- Antico Testamento, il Cantico  dei Cantici, nasce la tendenza a vedere Cristo come sposo amato e atteso dall’anima di ciascun individuo. Il  testo, infatti, che nel canone ebraico simboleggia la relazione amorosa tra Adonai e Israele, descritta spesso  con indubbi tratti affettivi ed erotici, diventa simbolo di una relazione in cui Cristo non è solo il destino della comunità, ma, nella coscienza di ciascuno, l’oggetto del desiderio, l’amato che solo è capace di appagare l’ardente attesa di realizzare la propria esistenza.

Essendo allora l’“attesa” l’atteggiamento che caratterizza il  tempo liturgico dell’Avvento, si potrebbe concludere la riflessione proposta constatando che l’accorata preghiera con cui si apre la Liturgia della Parola del nuovo anno liturgico secondo il ciclo B, “Se tu squarciassi  i cieli e scendessi!”, trova nel motivo del Cristo-sposo una realizzazione che va ben oltre le  speranze del profeta. 
Gennaro Capriati

All’Oratorio? … … … Io ci sono!!!


Lo scorso 21 Novembre ha preso inizio l’esperienza dell’Oratorio serale in San Giacomo. Per ora occuperà solo due sere (lunedì e mercoledì), dalle 19.30 alle 21.30. Quello dell’oratorio è uno spazio che la nostra comunità conosce bene, che ha vissuto diverse volte nella sua storia e in diversi modi e che certamente continua ad essere un luogo in cui i ragazzi (soprattutto quelli un po’ ai margini della vita della parrocchia) hanno la possibilità, attraverso il gioco e le altre attività proposte, di crescere in maniera sana, armoniosa e soprattutto in allegria (secondo quanto diceva lo stesso S. Giovanni Bosco).

L’oratorio di S. Giacomo, però, non vuole essere soltanto un luogo in cui i ragazzi giocano, ma l’opportunità per tutta la fascia giovanile della nostra comunità di incontrarsi in maniera creativa, di coltivare relazioni significative, di avere uno spazio di incontro e di confronto sano, costruttivo e magari meno formale di altri appuntamenti. Insomma, un luogo in cui condividere con gli altri la gioia di appartenere alla famiglia di Gesù, e di mettere in circolo con generosità le ricchezze umane e spirituali che il Buon Dio ci ha donato. La parola d’ordine è semplicità, una qualità da riscoprire in un mondo a volte così artificiosamente complesso. Tutti siamo invitati a sentire questa esperienza come parte della vita della comunità e a sostenerla generosamente, soprattutto con la preghiera, perché porti frutto.
Don Alessandro

L’ Avvento nei tuoi sogni

La penna sporca il foglio e le parole non escono. Vorrei parlare di “attesa”; di questo ci parla l’Avvento che si apre. Solo che troppo spesso i volti che incontriamo non attendono più nulla. E non solo perché il dolore li ha inchiodati alla rassegnazione. I più hanno semplicemente troppo: troppe cose, troppe parole, troppa confusione, troppa trasgressione, troppi messaggi, troppo di tutto ciò che vogliono … o che credono di volere. E hanno perso le ali dei sogni. Sì, perché sognare mette le ali: se attendi qualcosa, se la vuoi veramente le voli incontro. Ma se hai tutto ciò che credi di volere e ti accontenti di un ammasso di cose, tu il cielo non lo guardi nemmeno.

Tutti gli uomini grandi hanno sognato, atteso, sperato qualcosa che ancora non c’era o non c’era in pienezza, e a costo di tutto hanno inseguito, raggiunto ciò che attendevano. I santi attendono Dio, attendono il suo regno già qui sulla terra, e spesso il mondo li giudica pazzi o ingenui o sognatori. Forse sono semplicemente poveri e sanno di esserlo; a loro non bastano i voli a bassa quota di questo mondo. Solo chi è povero attende qualcosa, solo chi è vuoto può essere riempito. Il cammino per imparare ad attendere è quindi un cammino contrario alla logica del mondo; è un cammino alla scoperta della nostra povertà che grida di essere colmata.

Il problema però è che in fondo tutti siamo poveri, ma la maggior parte della gente fa di tutto per dimenticarsene e vive saltellando da un desiderio meschino all’altro, mentre potrebbe volare libero nel cielo. Prima di riempire le tue borse di regali, in questo Avvento, fermati ad ascoltare i tuoi sogni, le tue attese e le tue speranze, scopri che neanche a te bastano gli orizzonti bassi della mediocrità. Non sono bastati a Maria, la più povera fra i poveri, la Vergine dell’Attesa; e la sua sete ha attirato sulla terra il Dono più grande. Invocala in questo Avvento, e ascolta la sua povertà: troverai la tua strada. 
Attilio Fasano

Lo sapevate che … di Michele Cassano

Carta Scenografica Città di Bari(Particolare)
Dopo la dominazione araba, la nostra città tornò volontariamente sotto il dominio bizantino. Essi governarono la città per mezzo di un governatore chiamato catapano, la cui residenza fortificata era nel luogo, ove ora sorge la basilica di san Nicola. I Greci tennero la città abbastanza in pugno, pur attraverso ripetute traversie politiche, sino a quando il loro giogo fu scosso dal barese Melo, un nobile di origine longobarda, che unitamente al cognato Datto, riuscì ad organizzare, nel 1009, una violenta rivolta.

Dopo ave riportato diversi successi Melo e Datto rimasero vittime di una congiura e furono costretti a fuggire da Bari, per non cadere prigionieri dei greci. Datto andò a rifugiarsi sul Garigliano, in una torre di proprietà papale, mentre Melo, recatosi sul Gargano, prese contato con alcuni normanni, venuti in pellegrinaggio alla grotta dell’Arcangelo Michele. L’audace barese riuscì a convincere quei normanni ad aiutarlo nel riprendere la lotta contro i Bizantini. Difatti, di lì a poco, giunse in Italia, dalla Normandia, una scelta schiera di guerrieri normanni. Nel 1017 fu ripresa la guerra.

Dopo una serie di successi riportati contro il catapano Basilio Mesardonita, Melo dovette affrontare le schiere del nuovo catapano Basilio Bugiano, contro del quale conseguì dapprima una vittoria a Vaccarizza in Capitanata, ma venne poi ripetutamente sconfitto, prima di subire una disfatta a Canne, nell’ottobre del 1019. Dopo questa sconfitta, Melo andò a rifugiarsi in Germania, presso l’imperatore Enrico, nell’intento di coinvolgerlo nella guerra contro i Bizantini, ma, nel 1020,passò a miglior vita portando nella tomba i sogni inappagati di libertà per la sua città.

L’imperatore che, in segno di amicizia lo aveva nominato duca di Puglia, lo fece seppellire con onori regali nel duomo di Bamberga, fra le tombe dei più illustri personaggi dell’impero. In un museo della città di Bamberga si conserva un ricco mantello di velluto,che Melo aveva donato all’imperatore. Suo cognato Datto, rifugiatosi nella torre del Garigliano, fu raggiunto dalla vendetta dei Bizantini che, presolo prigioniero, il 21 giugno 1021 lo fecero entrare in Bari a cavallo di un asina, prima di cucirlo in un sacco e di scaraventarlo in mare. A questi due personaggi sono dedicate due strade della nostra città. Alla prossima …

FORMARSI PER EDUCARE: I WEEKEND CON LA CREATIVE

“Oggi devo fermarmi a casa tua!”. L’invito di Gesù a Zaccheo dà il titolo ai progetti CREATIVI di quest’anno per i corsi di formazione degli educatori. In questo incontro Gesù crea una relazione e suscita desiderio di ricerca della via della salvezza, ciò che un educatore deve suscitare in un ragazzo/a che gli è affidato. 

ll 5 e 6 novembre si è tenuto il primo di una serie di week end che prevedono diversi moduli con varie  tematiche. 
Il primo modulo, al quale hanno partecipato alcuni catechisti dell’Iniziazione, dello Shalòm e dei Giovanissimi insieme ad altri catechisti ed educatori della nostra diocesi, con il sottotitolo “Orientare alla vita”, ci si è presentato come un nuovo modo di considerare l’educatore: vederlo come un talent scout, cercatore di nuovi  talenti, cercatore del meglio in ogni ragazzo.

Ci sono state suggerite alcune tecniche - attività - giochi da poter organizzare nel corso degli incontri di catechesi, tutte molto interessanti e divertenti, che hanno coinvolto in prima persona gli educatori. L’educatore annuncia l’amore che Cristo ha per noi, trasmette i contenuti della Dottrina della Chiesa Cattolica e stimola il ragazzo a guardarsi dentro e scoprire il suo talento.

L’arte dell’educatore è proprio quella dell’osservazione e dell’incoraggiamento, consapevole che ogni persona è“valore” e che in tutti è possibile scoprire tesori inestimabili; infatti, “educare” significa e-ducere, “tirare fuori”. Per far questo l’educatore deve disporsi ad accogliere l’altro, ad ascoltarlo ed entrare in empatia con lui per partecipare alla sua esperienza in modo da offrirgli la concreta possibilità di riconoscere i doni da lui posseduti, per poterne godere nella vita. Tutto questo richiede impegno e disponibilità da parte dell’educatore a lavorare su se stesso per essere davvero in grado di guidare quel talento che ha senso se condiviso.
Katia Pepe

Insieme con gioia. L’uscita a Napoli dei Giovanissimi.

Già da qualche settimana sono riprese in parrocchia le varie attività, le catechesi e con loro anche le uscite. Proprii ragazzi del Gruppo Giovanissimi, il 30 Ottobre, siamo stati a Napoli per ammirare le bellezze della città, nonostante spesso venga definita brutta e pericolosa, giudizio che spesso viene esteso anche alla gente che vi risiede.
La nostra prima tappa è stata Piazza del Plebiscito; una grande piazza che siamo abituati a vedere in TV,  perché sfondo di tanti film ed eventi importanti. La chiesa che caratterizza la splendida piazza, dedicata a San  Francesco da Paola, richiama le forme del Pantheon, ed ha lasciato tutti noi senza fiato; il Palazzo Reale con il  suo magnifico teatro privato e le sale principesche: che dire, meravigliosi!!! Era tutto rigorosamente dorato  con maestosi dipinti e oggetti di valore inestimabile.

Un momento che mi ha colpito in particolar modo di  questa giornata è stata la salita con la funicolare da Via Toledo per arrivare nella parte più alta di Napoli, sulla  collina del Vomero, per poi raggiungere la Certosa di San Martino. Il panorama era incantevole. Dopo una   breve pausa, abbiamo visitato la Chiesa della Certosa, decoratissima al suo interno, il chiostro grande, ed  infine il museo nazionale di San Martino, nel quale erano esposti anche dei presepi straordinari. 

Giunti a Bari eravamo davvero stanchi, ma pur sempre contenti della giornata  trascorsa. È stata un’esperienza che ha aiutato molto il nostro gruppo e che penso sia stata molto positiva  anche per i nuovi ragazzi che cominciano quest’anno il cammino con i giovanissimi, aiutandoci a vivere subito  l’accoglienza e la gioia di camminare insieme. 
Liliana Colaianni

Caro nonno, a noi che resta?

Caro nonno,
ricordo quando tu, orgoglioso e fiero della tua Italia, mi raccontavivi dell’infanzia passata in strada tra i giochi e gli amici di sempre e i primi lavoretti per portare a casa qualche soldo per la famiglia, tra la spensieratezza di quegli anni e le prime responsabilità di cui ti facevi carico. 
Mi raccontavi degli anni della guerra, la paura per ogni aereo che sorvolasse la città, e di quel uomo, tale Romito Michele, che da semplice cittadino, l’aveva difesa durante la Resistenza con coraggio e onore.
Mi raccontavi della povertà, di una cartella fatta di cartone, di scarpe rotte e gelide, ma con entusiasmo mi hai insegnato a far colazione con latte e pane e ad aspettare l’estate per correre scalzo verso il mare. Mi raccontavi di un’Italia piccola, povera, ma giovane, fiera e vivace; un’Italia guidata da uomini che con onore hanno dato vita alla Repubblica, che hanno passato notti intere a redigere la nostra Costituzione; un’Italia che aveva cominciato a spiegare le ali nei cieli d’Europa; un’Italia in cui ci si sentiva davvero italiani.
Sai, vorrei che i miei nipoti leggessero nei miei occhi il tuo stesso entusiasmo, invece mi ritrovo a sperare di non dover mai dire loro: “La mia Italia era confusa, non sapeva mai dove andare. Aveva solo 150 anni, ma un animo ormai invecchiato. Le era stata regalata una Costituzione bellissima, ma aveva un animo ferito dalla corruzione.
Era ornata di coste di ricchezze, campagne di speranze, montagne di sogni ma, la mia Italia, aveva un animo ormai inaridito dalla smania di potere. Per le sue strade erano raccolti libri di storia, ma aveva un animo svuotato dai ricordi calpestati dal “falso progresso”. Nella mia Italia la frase più ripetuta era “non lo so”.
In effetti io oggi non so se posso permettermi una cura adeguata ad ogni malattia, una tutela del lavoro che difenda il mio impegno e sacrificio, non so quanto valga la pena combattere per i miei sogni; non so se, nella mia Italia, mi è ancora permesso averne.
Come avere il tuo stesso entusiasmo nonno, se la mia Italia non mi permette di sognare? La mia Italia non mi permette di guardare con fiducia al futuro, non mi permette di scegliere serenamente nemmeno quali studi intraprendere.
Cosa resta a noi giovani che ci sentiamo pervasi dal dubbio di non esser protetti, tutelati, aiutati a costruire il nostro futuro? Cosa resta?
Ci resta il coraggio, quello di continuare a sperare in qualcosa di meglio, di continuare a credere che la nostra Italia ritrovi vigore, giovinezza, ritrovi la sua storia, la sua dignità, le sue certezze.
Ma ... mi chiedo: noi avremo mai il coraggio di sentirci ancora italiani?
Melissa Fello

Il - III Shalòm in uscita a Noci.


Noi del III Shalòm, il 12 e 13 novembre, abbiamo vissuto la prima uscita di fascia dell’- anno, in cui abbiamo passato due giorni presso la “Casa Hosanna” della Parrocchia S. Marcello, vicino all’abazia della Madonna della Scala di Noci.
Dopo il trasferimento in treno fino a Noci, tutti eravamo entusiasti all’idea di trascorrere più giorni insieme, condividendo ogni momento della giornata: dalle scenette proposte la prima sera (che avevano come tema “le icone del bene e le icone del male”), al preparare la cena insieme, passando per una notte in cui non si voleva proprio andare a dormire. La domenica mattina siamo andati a piedi all’abazia, che abbiamo avuto la possibilità di visitare, per poi ritornare alla base per celebrare l’Eucaristia, in maniera un po’ insolita, dato che ci trovavamo in mezzo alla natura. Dopo il ricco pranzo, siamo ritornati a casa.
Questa è stata per noi un’esperienza molto importante dato che, giunti all’ultimo anno del percorso Shalòm, sono per noi le ultime occasioni in cui vivere a pieno la nostra promessa, con la speranza di portare a termine il nostro percorso nel migliore dei modi, con tante conquiste e nuove ricche esperienze.
Marialessia Caricola
Maria Zampetta