mercoledì 23 novembre 2011

CRISTO-SPOSO

Negli itinerari di catechesi per gli adulti ricorre spesso il motivo di “Cristo-sposo”. È il caso, pertanto, di dare un cenno all’origine di questa immagine cristologica e all’evoluzione dei significati che le sono stati attribuiti nel  corso della Storia della Chiesa. In primo luogo è lo stesso Gesù a utilizzare l’immagine dello sposo (Mc  2,19-20), anche se è molto probabile che nel contesto del suo annuncio apocalittico (“Il tempo è compiuto e  il regno di Dio è vicino”- Mc 1,15) lo sposo rappresenti il regno di Dio ormai arrivato, e gli invitati a nozze  coloro che ne beneficiano. Il primo esplicito riferimento a Cristo-sposo lo fa san Paolo in 2 Cor 11,2, passo  in cui l’Apostolo rappresenta la sua azione evangelizzatrice nei confronti della comunità di Corinto da lui  fondata con l’immagine di chi promette la vergine casta all’unico sposo, Cristo.

Questa immagine è poi ripresa  in testi successivi del Nuovo Testamento, come Ef 5,22-33 e Ap 19,7- 8, dove Cristo è  rappresentato come sposo di tutta la Chiesa. Addirittura, Gv 3,29 allude all’immagine del “Cristo-sposo che  possiede la Chiesa-sposa”. Infatti, in Gv 3,29 il Battista si autodefinisce l’“amico dello sposo”, un personaggio importante nel cerimoniale matrimoniale antico, in quanto non solo organizzatore della festa nuziale, ma anche  colui che, altermine della stessa, accompagna lo sposo fino alla soglia della stanza nuziale dove lo attende la  sposa, e resta lì in attesa della voce dello sposo, voce che confermerà la verginità della sposa e gli consentirà  di annunciare a tutti l’avvenuta regolare consumazione.

Nel medio evo l’immagine di Cristo-sposo assume  connotazioni di carattere più personale: prendendo le mosse da un testo dell’- Antico Testamento, il Cantico  dei Cantici, nasce la tendenza a vedere Cristo come sposo amato e atteso dall’anima di ciascun individuo. Il  testo, infatti, che nel canone ebraico simboleggia la relazione amorosa tra Adonai e Israele, descritta spesso  con indubbi tratti affettivi ed erotici, diventa simbolo di una relazione in cui Cristo non è solo il destino della comunità, ma, nella coscienza di ciascuno, l’oggetto del desiderio, l’amato che solo è capace di appagare l’ardente attesa di realizzare la propria esistenza.

Essendo allora l’“attesa” l’atteggiamento che caratterizza il  tempo liturgico dell’Avvento, si potrebbe concludere la riflessione proposta constatando che l’accorata preghiera con cui si apre la Liturgia della Parola del nuovo anno liturgico secondo il ciclo B, “Se tu squarciassi  i cieli e scendessi!”, trova nel motivo del Cristo-sposo una realizzazione che va ben oltre le  speranze del profeta. 
Gennaro Capriati

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