Questa immagine è poi ripresa in testi successivi del Nuovo Testamento, come Ef 5,22-33 e Ap 19,7- 8, dove Cristo è rappresentato come sposo di tutta la Chiesa. Addirittura, Gv 3,29 allude all’immagine del “Cristo-sposo che possiede la Chiesa-sposa”. Infatti, in Gv 3,29 il Battista si autodefinisce l’“amico dello sposo”, un personaggio importante nel cerimoniale matrimoniale antico, in quanto non solo organizzatore della festa nuziale, ma anche colui che, altermine della stessa, accompagna lo sposo fino alla soglia della stanza nuziale dove lo attende la sposa, e resta lì in attesa della voce dello sposo, voce che confermerà la verginità della sposa e gli consentirà di annunciare a tutti l’avvenuta regolare consumazione.
Nel medio evo l’immagine di Cristo-sposo assume connotazioni di carattere più personale: prendendo le mosse da un testo dell’- Antico Testamento, il Cantico dei Cantici, nasce la tendenza a vedere Cristo come sposo amato e atteso dall’anima di ciascun individuo. Il testo, infatti, che nel canone ebraico simboleggia la relazione amorosa tra Adonai e Israele, descritta spesso con indubbi tratti affettivi ed erotici, diventa simbolo di una relazione in cui Cristo non è solo il destino della comunità, ma, nella coscienza di ciascuno, l’oggetto del desiderio, l’amato che solo è capace di appagare l’ardente attesa di realizzare la propria esistenza.
Essendo allora l’“attesa” l’atteggiamento che caratterizza il tempo liturgico dell’Avvento, si potrebbe concludere la riflessione proposta constatando che l’accorata preghiera con cui si apre la Liturgia della Parola del nuovo anno liturgico secondo il ciclo B, “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”, trova nel motivo del Cristo-sposo una realizzazione che va ben oltre le speranze del profeta.
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