lunedì 17 dicembre 2012



Fede è ... stupirsi di Dio.
In questi giorni l’angelo di Dio torna “ancora” a bussare alle nostre coscienze e viene a comunicarci che il Dio che ci ha creati vuole venire ad abitare in mezzo a noi, vuole farci suoi figli.
Prepariamoci come Maria e Giuseppe ad essere “casa” che accoglie la novità di Dio, che ha avuto compassione dell’uomo ed è sceso a liberarlo (Es 3,14).
Apriamo gli occhi della fede per vedere l’Amore nell’umiltà di Dio, fattosi bambino per noi.
L’amore senza misura che tocca le nostre esistenze, consoli i nostri cuori feriti. La Grazia, che è donata dalla Parola accolta, sia olio e vino versato sulle ferite di ogni uomo  (Lc 10,34), spesso travolto dalle acque melmose di un sistema sociale che ha fondato sé stesso sulla speculazione, sull’edonismo, sull’individualismo rapace e consumistico.
Isaia, Giovanni Battista, Maria siano per noi modelli di vita di fede che sa costruire la speranza con opere giuste e sante. Questo è il presepio che siamo chiamati a costruire insieme.
Buon Avvento!
DON FRANCO

lunedì 27 febbraio 2012

Quaresima tempo di riconciliazione


La quaresima è tempo che Dio ci dona, per accorgerci in modo profondo di quanto Dio è misericordioso con noi e quanto ancora siamo lontani dal suo progetto che ha per noi.
E’ il tempo in cui possiamo scoprire la tenerezza paterna di Dio ma anche le nostre devianze dal progetto battesimale.
E’ tempo di conversione e del ritorno a Dio. Infatti, nella liturgia emergono continui richiami affinché noi scopriamo Cristo, quale modello di uomo perfetto nell’amore per Dio e per i fratelli.
E’ il tempo propizio per scoprire il nostro peccato. E’ il tempo di preghiera con cui se ne domanda perdono.
E’ tempo della carità operosa (digiuno e preghiera) con cui si esprime la volontà di conversione. Valorizzare questo tempo significa infatti prendere coscienza della continua chiamata a riscoprire insieme sia la memoria del proprio battesimo, sia la memoria del mistero della Pasqua di Cristo e della nostra pasqua uniti a Lui. In questo tempo di grazia l’attenzione è rivolta a Cristo che illumina la vita dell’uomo. Vediamo, per esempio,  nella prima domenica di quaresima il Cristo tentato di non vivere la vocazione di figlio di Dio bensì di vivere dietro le false vocazioni: il sesso senza l’amore responsabile, i soldi come segno di dominio, il successo come idolatria del proprio io.
La quaresima allora è il momento della introspezione, dell’esame di coscienza, per conoscere la nostra miseria e la misericordia di Dio, il nostro peccato e la sua grazia, la nostra debolezza e la sua forza, la nostra stoltezza e la sua sapienza. Quaresima è il tempo per conoscere la propria miseria per conoscere Dio.
E’ il tempo in cui specchiarsi nell’acqua dello Spirito Santo e vedere se stesso nella verità di Dio e passare dalla conoscenza di sé alla conoscenza di Dio.
Quaresima è il tempo della preghiera. La preghiera deve sgorgare dal cuore prima di uscire dalle labbra, esige anima e corpo consacrati a Dio e non al mondo. Esige libertà e purezza di cuore.
Quaresima è tempo di digiuno. Il digiuno è segno di pentimento e di mortificazione personale e, al tempo stesso, di unione con Cristo crocifisso e di solidarietà con gli affamati e i sofferenti.
L’autentico digiuno non è una punizione del corpo ma è sobrietà, essenzialità per la preghiera e l’intimità con Dio. Il vero valore del digiuno è imparare a  dominare le proprie passioni e non diventare schiavi delle passioni. Il digiuno dal cibo è un consiglio ma il digiuno dal peccato è legge di Dio che bisogna mettere in pratica.
Quaresima è tempo di demolire il “vecchiume”dell’uomo peccatore e lasciarsi fare da Cristo l’uomo nuovo. 
Auguri di buon cammino
verso la resurrezione pasquale
Don Franco

Il silenzio dà valore alle nostre parole


Il quotidiano la Repubblica alcune settimane fa ha realizzato un articolo dedicato al silenzio, questo grande assente nella nostra vita. L’articolo prendeva spunto dall’esperienza che sta portando in giro per il mondo il regista americano David Linch. Il suo progetto ha questo titolo: ”Come fare del silenzio un’arte”.
Riporto alcune sue considerazioni. “Il mondo è diventato una stanza rumorosa.  Un posto tranquillo aiuta a sciogliere le tensioni, qui ritrovi, la sintonia con te stesso” E alla fine dell’articolo il regista terminava dicendo: “L’unico angolo dove trovare un po’ di quiete e dentro noi stessi”. Sempre sullo stesso argomento, la medesima pagina ospitava anche un pensiero di Enzo Bianchi, il priore della comunità monastica di Bose. Riporto alcune sue considerazioni:” Il silenzio non consiste semplicemente nell’assenza di rumore e di parola, ma è una realtà plurale. C’è un silenzio necessario in certi luoghi, e come tale imposto, c’è un silenzio inscritto con segni all’interno della scrittura stessa. C’è un silenzio tra le note musicali. Accanto a questi silenzi funzionali ve ne sono altri negativi. Silenzi che pesano, che rendono inquieti e spaventano silenzi opprimenti.
Di più esistono silenzi complici e pieni di vita, silenzi che dovrebbero essere spezzati dalla forza di un profeta, silenzi di ostilità che paralizzano la comunicazione, silenzi amari di solitudine sofferta.
Vi sono silenzi positivi, irrinunciabili. In primo luogo il silenzio rispettoso quando parla l’altro, ma anche il silenzio scelto nella consapevolezza che c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un silenzio particolare è quello dell’amicizia e dell’amore, un silenzio di presenza e di pienezza, in cui il semplice stare insieme è fonte di gioia. Vi è infine il silenzio interiore, nel cuore di ciascuno di noi, per accogliere la presenza degli altri e dell’Altro, Dio”.  Ma perché fare silenzio? Innanzitutto nel silenzio possono emergere energie che si traducono in un’attività intellettuale più feconda; nel silenzio diventiamo più ricettivi, sappiamo meglio ascoltare, vedere, odorare, toccare anche gustare. Lunghe ore di silenzio ci rendono diversi, ci aiutano a guardare dentro di noi, a dimorare con noi stessi e, soprattutto ad ascoltare ciò che ci abita in profondità. Insomma grazie al silenzio impariamo a parlare, grazie  al silenzio le nostre parole trovano forza. Attraverso la pratica consapevole del silenzio possiamo vigilare affinché le nostre parole siano sempre fonte di dialogo e di conoscenza, di consolazione e di pace. Insomma sa parlare chi sa tacere. Concludo augurando a me e a voi, di trovare  in questo periodo di Quaresima durante la nostra giornata spazi per il silenzio…
Buon silenzio e buona Quaresima. Michele Cassano

CRISTO NUOVO ADAMO


              Il vangelo dell’attuale anno liturgico è attraversato da un interrogativo di perenne attualità che prende forma precisa proprio in bocca a Gesù in Mc 8,27 : “Chi dice la gente che io sia?”. Proprio dal secondo vangelo apprendiamo che prima degli eventi pasquali la gente vede in Gesù un maestro, un guaritore ed esorcista, il profeta precursore del messia, mentre per i suoi discepoli egli è il messia. Gli eventi pasquali e tutta l’atmosfera pneumatica che ne segue determinano invece una profonda svolta nel modo di intendere Gesù, originando così tante cristologie.
In particolare, vi è il caso di un maestro ebreo, tale Saulo di Tarso, convertito non dall’incontro con Gesù, che probabilmente non ha neppure conosciuto, ma dall’incontro col Risorto. L’evento, di cui non è possibile precisarne i dettagli, modifica a tal punto la sua visione teologica da fargli ritenere che la salvezza non provenga dall’obbedienza alla “Torah”, ma sia gratuitamente donata dalla morte e resurrezione di Gesù. Addirittura, giunge a credere che essa è per tutti, non solo per gli ebrei: in Rom 5,12-21, attraverso una originale interpretazione di Gen 3, sostiene che la caduta di Abramo ha permesso al peccato di entrare nel mondo e di trasmettersi quasi in modo ereditario, per cui tutti sono investiti dal peccato; ma - afferma - la morte e resurrezione di Gesù ha interrotto questa trasmissione e ha ristabilito l’originaria comunione tra Dio e l’uomo, facendo dunque di Cristo una sorta di “nuovo Adamo” (il parallelismo Cristo-Adamo è esplicito in 1 Cor 15,45).
Ebbene, il brano evangelico della prima domenica di quaresima dell’anno B sembra dire la stessa cosa in modo narrativo. Per apprezzarne lo spessore cristologico occorre, però, una breve incursione in un territorio letterario scarsamente praticato dai contesti pastorali parrocchiali: quella letteratura giudaica extrabiblica consistente in una raccolta di narrazioni che i maestri ebrei iniziarono ad elaborare durante la dominazione persiana, tra il VI e il IV secolo a.C., con lo scopo di compiere una rilettura attualizzante dei testi sacri (si tratta, pertanto, di una produzione letteraria indispensabile per conoscere il modo in cui la Scrittura veniva interpretata sia all’epoca in cui tali racconti vennero alla luce che ai tempi di Gesù). Uno di questi racconti narra quanto segue.
La natura del paradiso era tale che Adamo non aveva bisogno di lavorare la terra. E’ vero che il Signore Iddio collocò l’uomo nel giardino dell’Eden perché lo coltivasse e lo custodisse, ma ciò significa soltanto che là egli doveva studiare la Torah e adempiere i comandamenti di Dio. … Gli angeli gli portavano carne e vino servendolo come famigli. Come gli angeli, anche gli animali esaudivano i suoi desideri. Erano assoggettati a lui e ricevevano il loro cibo dalle sue mani e da quelle di Eva. Il mondo animale aveva con Adamo rapporti del tutto diversi da quelli che ebbe poi con i suoi discendenti: non solo gli animali conoscevano il linguaggio dell’uomo, ma rispettavano in lui l’immagine di Dio e avevano timore della prima coppia umana.” Ovviamente tutto ciò è sovvertito dopo l’episodio della caduta: Adamo rompe l’armonia col mondo divino e gli angeli non lo servono più, pertanto, non può più occuparsi della “Torah”, ma deve faticare per procurarsi il nutrimento; inoltre, rompe l’armonia anche con gli animali in quanto questi lo minacciano ed egli deve ammazzarli per difendersi e nutrirsene.
Col suo “racconto delle tentazioni” l’evangelista Marco, che probabilmente conosce il testo appena citato, sembra dunque ricalcare, in modo narrativo, il parallelismo Cristo/Adamo paolino: mentre nel giardino dell’Eden l’“Adam” già differenziatosi in “Ish” (maschio) e “Isha” (femmina), tentato da Satana, cade realizzando una sorta di separazione con Dio e con il creato, Gesù in un deserto, tentato da Satana, non cade, ristabilendo, pertanto, quell’armonioso rapporto con le creature celesti (“gli angeli lo servivano”) e terrestri (“stava con le fiere”) che caratterizzava l’esistenza di Adamo prima della caduta.
Gennaro Capriati

Il gruppo “Abramo e Sara” è stato ricevuto in Comune !

E’ stato un pomeriggio formidabile quello di martedì 17 gennaio con la piena accoglienza rivoltaci dalla Dott.ssa Antonella Rinella quale responsabile - capo gabinetto dell’Ufficio del Sindaco che ha condotto il nostro gruppo accompagnato da Don Franco Lanzolla nostro responsabile, alla conoscenza del Palazzo di Città sede dell’Amministrazione Comunale.
Attraverso le stanze del Palazzo ottocentesco abbiamo appreso molte notizie storiche sulla storia di Bari. Il momento “clou” è stato nella Sala Consiliare dove tutti gli anziani del gruppo si sono accomodati nei posti solitamente riservati agli Assessori e Consiglieri durante le riunioni del Consiglio Comunale. Qui la Dott.ssa Rinella come “guida d’eccezione”per la circostanza, ha rivolto a noi tutti massima attenzione e, parlandoci in modo molto semplice ha fatto una breve storia del Palazzo la cui costruzione cominciò nella prima metà del XIX secolo. Più volte si è soffermata sulla figura di grandi Sindaci di Bari che molto hanno fatto per la Città specie nella realizzazione di opere pubbliche, istituzioni scolastiche e sociali, spesso operando in momenti difficili e delicati per la Città e per tutta l’Italia (vedi i brutti periodi della I e II Guerra Mondiale con i relativi periodi post – bellici in cui tutto si doveva ricostruire sia materialmente che moralmente).
Alla fine, è arrivata del tutto inaspettata una “dolce” sorpresa per il gruppo: la Dott.ssa ci ha invitati a consumare un ricco e variegato bouffet di dolci e bevande da Lei ordinato per la nostra visita.
Contentissimi ed anche commossi per l’accoglienza ricevuta, abbiamo calorosamente ringraziato la Dott.ssa che salutandoci ci ha invitato a trascorrere un altro bel pomeriggio al Teatro Petruzzelli dove, sempre Lei ci farà da “guida”.
Gruppo Abramo e Sara

venerdì 23 dicembre 2011

NATALE: FESTA DELLA SPERANZA

Carissimi, sembra attuale la profezia di Isaia che dice: “Un popolo che cammina nelle tenebre vede una grande luce”. Anche a noi, oggi, sembra di camminare nel buio dell’incertezza e di una realtà sociale che sembra priva di progetti; ma nell’ascoltare  la Parola di Dio nel profondo delle nostre coscienze e ascoltando i sogni dei giovani che cercano il futuro, vediamo sorgere delle stelle di speranza nel firmamento freddo e nebuloso delle culture dominanti.  Il “freddo” è l’avidità di gruppi economici che guardano solo il proprio profitto, è un sistema commerciale che incita a soddisfare i propri bisogni di piacere, impigrendo le coscienze.
Il freddo è chiudersi nei giochi solitari di fronte al computer o nelle sale giochi.
Il freddo è l’incapacità di vivere relazioni fedeli e sincere nella coppia, con i figli, nei luoghi di lavoro.
Il freddo è quello degli occhi dei bambini non amati, aggrediti dalla violenza degli adulti.
Ed è proprio nel freddo di quest’umanità “congelata” e nel buio delle relazioni sterili che Dio viene ad abitare per ridonare il suo Amore, forza fluidificante per costruire relazioni capaci di produrre pace.
In questo freddo, dunque, la bella notizia è che Dio è vicino all’uomo anche quando sembra che l’uomo si sia allontanato da lui: un Dio che si fa prossimo, che chiede di essere preso in braccio perché vuole prenderci in braccio, che vuole realizzare il suo progetto. 
In Cristo che viene, l’umanità trova La tenerezza del Padre misericordioso, che   vuole ridare all’uomo la capacità e la bellezza di vivere la vita a misura di Dio che è amare senza misura.
Dio entra nella nostra esistenza, nella nostra storia: dall’infinita sua grandezza scende nella nostra finitudine e nella nostra pochezza ridonandoci l’identità della figliolanza divina e della fratellanza universale: ci rimette in piedi per essere capaci di relazioni autentiche nella giustizia e nell’amore. Per questo l’incarnazione del Figlio di Dio è l’inizio della nostra resurrezione ad una vita “alta” a misura della Sapienza del cuore di Dio.
Per questo, oggi, sentiamoci ancora Bethlemme perché lì si sono “compiuti i giorni del parto” e Dio ancora viene nella mangiatoia per farsi cibo. Quest’anno non “deponiamo” il bambino di plastica al centro del presepe, ma mettiamo Cristo, uomo morto per amore e risorto per amore, al centro della nostra vita, facciamoci ancora guidare dalle stelle che ci conducono di fronte a lui, per cadere in ginocchio di fronte al mistero di questa epifania trinitaria. 
Sant’Agostino ci dice che “l’incarnazione è l’adozione completa in un solo uomo di tutta l’umanità solidale”: Dio ha adottato tutto, ha assunto tutto e, proprio perché è Amore che salva, si è reso presente dove è il male, dove è il peccato, dov’è la fragilità.
Allora AUGURI perché ogni persona e ogni casa sia oggi la nuova Bethlemme.         Don Franco

Via con le Missioni Shalòm


Noi Ragazzi Shalòm abbiamo cominciato, a partire da dicembre, una nuova esperienza che caratterizzerà il nostro cammino: le missioni.
Insieme alla divisione per fasce di età (i tre anni Shalòm), ora siamo suddivisi anche in 5 squadriglie miste, ognuna caratterizzata da una missione da portare a termine e da un colore:
1. Liturgia (rosso): ha la missione di preparare e proporre le preghiere per la Messa domenicale, preparare il power-point che ci aiuta a seguire meglio la celebrazione, ed in generale di preparare le liturgie del gruppo;
2. Logistica (blu): ha la missione di prendersi cura del materiale del gruppo, di organizzare le uscite dal punto di vista tecnico, di tenere in ordine gli spazi utilizzati;
3. Diario di gruppo (bianco): ha la missione di raccogliere e raccontare le esperienze e le avventure che il gruppo vive, attraverso foto, video, articoli e di conservare così la memoria del nostro cammino;
4. Teatro (giallo): questo gruppo ha la missione di preparare, cimentandosi nell’arte della recitazione, una piccola drammatizzazione a tema, da presentare al gruppo alla fine del periodo della propria missione;
5. Bans-giochi (verde): ha la missione di animare con i bans e i giochi i momenti del gruppo, soprattutto nel quadrato e nelle uscite.
Ogni squadriglia porta avanti la sua missione per un mese, e alla fine di questo periodo si cambia con le altre squadriglie – verificando se c’è stato gioco di squadra – per avere la possibilità nel corso dell’anno di affrontare tutte le missioni.
È una sfida molto importante, che ha anche lo scopo di aiutarci a diventare più responsabili nel nostro cammino e ce la metteremo tutta per portarla a termine.
Squadriglia bianca

Il Sentiero del Mago…

Mi sono recentemente cimentato nell’appassionante lettura del poema epico “Gli Idilli del Re” nel quale, Alfed Tennyson , grande poeta inglese dell’800, rivisita una delle più incantevoli relazioni che siano mai state descritte nei secoli passati: quella fra Merlino e il giovane Artù nella grotta di cristallo.
Il punto di vista di questo libro e di altri testi sul ciclo arturiano, è che la grotta di cristallo è un luogo privilegiato del cuore umano. Il rifugio sicuro dove la voce della saggezza non conosce paura e il tumulto del mondo esterno non può entrare. C'è sempre stato un mago nella grotta di cristallo e continuerà ad esserci in eterno: bisogna solo entrarci e disporsi ad ascoltare.
Con parole non mie e prendendo spunto da varie interpretazioni, mi accingo a farvi varcare l’uscio di questa grotta, con la speranza che possiate abbeverarvi all’antica saggezza di questi insegnamenti. Avanti dunque, eccovi la prima lezione.
Disse Merlino ad Artù: “Vi è un insegnamento chiamato sentiero del mago. Ne hai mai sentito parlare?" Il giovane Artù sollevò lo sguardo dal falò che stava cercando di accendere e rispose : "No, non ne ho mai sentito parlare.  Maghi? Vuoi dire gente che agisce in modo diverso da noi?" "No, fanno come noi" riprese Merlino. "Io sono l'ultimo a conoscere questo sentiero e forse tu sarai l'ultimo ad apprenderlo". Artù alzò gli occhi dal fuoco e, attratto dal fascino di quel nuovo messaggio, pensò tra sé:  “Merlino un mago?” Non gli era mai venuta in mente una cosa del genere. I due erano vissuti tutti soli nella foresta e nella grotta di cristallo e Artù, che aveva circa dieci anni , non ricordava di aver mai conosciuto altre persone oltre a Merlino.
"Vedi, presto te ne andrai da qui" proseguì Merlino. "Andarmene? Che cosa vuoi dire?" domandò il giovane.
 "Ti mando nella palude, o, come dicono i mortali, nel mondo. Per tutti questi anni ti ho tenuto lontano dalla palude e ti ho insegnato qualcosa che non devi dimenticare, il sentiero del mago". Poi davanti a lui comparve un grosso blocco di pietra da cui fuoriusciva in parte una spada. “Che cos’è?” domandò turbato Artù. “Nulla” rispose Merlino. “Ma non te la dimenticare”. Poco dopo, la visione della spada nella roccia cominciò a svanire ed il ragazzo ebbe voglia di piangere. Aveva compreso che quell’apparizione era il saluto di Merlino, il segno dell’addio e l’inizio di un nuovo cammino.
Dopo qualche tempo, infatti, si ritrovò a Londra in una nevosa mattinata natalizia, fuori della cattedrale dove la spada nella roccia era misteriosamente riapparsa. Fra lo stupore della folla estrasse la spada (impugno il suo destino) e proclamò il diritto ad essere re vivendo ed insegnando i segreti che aveva appreso dal suo maestro e ponendosi a capo di una compagnia di cavalieri, votata al bene comune, intesa a raddrizzare i torti, proteggere i deboli, insegnare a tutti l’amore per una via casta, leale, onesta, capace di abbassare “...nell’uomo il suo orgoglio e di insegnargli alti pensieri, desiderio di amore per la verità e tutto quel che fa di un uomo un UOMO”.  Considerandolo specchio di Cristo Salvatore i suoi compagni in coro canteranno: “Il Re seguirà Cristo e noi il Re”.
Cos'è un mago? Non è uno che sia semplicemente in grado di fare della magia, ma qualcuno capace di provocare una trasformazione. Un mago può trasformare la paura in gioia, la frustrazione in soddisfazione. E’ capace di attuare la metamorfosi delle nostre caratteristiche più grette: odio, ignoranza e vergogna, in quanto esiste di più prezioso: Amore e Soddisfazione. Quindi chiunque sia capace di insegnare a diventare una persona libera e piena d'amore è per definizione un mago. Il sentiero del mago non ha un collocamento temporale: è ovunque e in nessun posto. Appartiene a tutti e nessuno.
Un giorno un discepolo si recò da un grande maestro e chiese: “Perché mi sento così oppresso interiormente, come se volessi mettermi a urlare?Il maestro rispose: “Perché è così che si sentono tutti.”
Tutti desideriamo espanderci in amore e creatività, esplorare la nostra natura spirituale, ma spesso qualcosa ci viene a mancare. Ci richiudiamo nelle nostre prigioni.Vi è, però, qualcuno che è riuscito a spezzare i vincoli che rendono così ristretta la vita, affermando che la nostra eclissi è temporanea e ci insegna a trovare il mago interiore. E' eccitante scoprire che non siamo prodotti della costrizione, della precarietà e delle crisi economiche, ma figli del miracolo.
Questa è la verità racchiusa nella grotta di cristallo, come in quella di Betlemme, la realtà profonda che riguarda ognuno di noi e che per troppo tempo è rimasta nascosta:  Il mago è dentro di Noi e desidera una cosa sola, NASCERE.
Vincenzo Salomone

“È donando che si riceve”

Dormivo e sognavo che la vita era gioia, mi svegliai e vidi che la vita era servizio. Volli servire e vidi che servire era gioia” (R. Tagore).
È proprio con questa citazione che è partita la nostra esperienza all’insegna del servizio verso gli altri. Venerdì 25 novembre noi ragazzi del 1° giovanissimi ci siamo incontrati per la nostra catechesi. In Cattedrale i nostri educatori ci hanno detto che questa sarebbe stata una catechesi “diversa” da tutte le altre. Siamo stati raggiunti da Franco Sifanno, operatore pastorale della nostra Comunità impegnato da molti anni nei progetti caritas e nel volontariato.
Ci siamo incamminati verso la stazione, nei pressi di piazza Umberto, mentre la nostra testa, curiosa, si riempiva di tanti pensieri. Giunti lì abbiamo trovato un gruppo di circa 100 persone, composto sia da italiani che da extra-comunitari, in attesa che venisse offerto loro un pasto caldo. Eravamo sorpresi ed anche un po’ intimoriti da quella realtà che non conoscevamo. È bastato poco a farci cambiare idea. Una bambina di cinque anni, Sara, ci ha accolto come noi avremmo dovuto accogliere loro. Abbiamo incominciato a giocare con lei, ad ascoltare le loro storie, ci siamo fidati l’uno dell’altro. Successivamente ci siamo divisi in gruppi ed abbiamo iniziato la distribuzione dei pasti.
Attraverso questa esperienza abbiamo compreso una parte del significato della parola “gratitudine” e di quanto un semplice sorriso possa infondere gioia e creare una relazione con l’altro. A volte siamo ciechi e vediamo solo quello che vogliamo vedere, quello che ci viene messo in evidenza. A due passi dal centro, non c’è solo lo sfarzo apparente delle vetrine di via Sparano, ma anche la triste realtà di persone sole, bisognose di ritrovare la propria dignità. Tutti noi, giovanissimi e non, siamo chiamati ad andare con gratuità e amore verso il prossimo.
Auguriamo Buon Natale a tutta la Comunità della Cattedrale, che quotidianamente ci sostiene con la preghiera  e c’insegna che: “È donando che si riceve!”.
I ragazzi del 1° giovanissimi

“De-sideribus”: il cammino dei Giovani con i 10 Comandamenti.


Quest’anno noi Giovani abbiamo intrapreso il nostro percorso catechetico scegliendo di riflettere sui 10 Comandamenti. Tutti noi, per sommi capi, li conosciamo bene, o almeno crediamo, ma ci è bastato cominciare a riflettere sulle “dieci parole”, a partire dalle ultime due, per capire che effettivamente qualcosa ci sfugge.
Non desiderare la donna d’altri”, “non desiderare la roba d’altri”. Il verbo comune all’IX e X comandamento è “desiderare”. Cosa significa “desiderare”? E che valore ha questo verbo, oggi, per noi?
Sappiamo che spesso il significato che gli è attribuito, associato ai comandamenti, è fortemente negativo. Eppure l’origine di questa parola ha in sé qualcosa di grande, di … celeste: “de sideribus”, dalle stelle. Allora perché ci leggiamo di primo acchito qualcosa di negativo?
Forse perché dal cielo, noi, ci siamo un po’ allontanati: ci imponiamo di abbandonare qualcosa, di correre lontano, di fuggire a noi stessi. Il problema, allora, potrebbe essere che ... abbiamo smesso di desiderare ciò che è veramente desiderabile. Abbiamo smesso di guardare con occhi speranzosi negli occhi di qualcuno, abbiamo smesso di parlare con fiducia a qualcuno, abbiamo imparato a fuggire dai nostri desideri, abbiamo dimenticato come questi si affrontino. Ma prima di tutto abbiamo dimenticato la natura celeste di essi: siamo nati dal desiderio di un Dio che ci ha guardati con occhi pieni di speranza  e che continua a parlarci con fiducia, che non ha mai smesso di offrirci la salvezza e che mostra ogni giorno, con gratuità, il suo amorevole desiderio.
Perché fuggire dai propri desideri? Perché non farli parlare per imparare a riconoscere ciò che attraverso di loro si annuncia?
Torniamo a sperare, torniamo a convivere con noi stessi, torniamo a sognare ad occhi aperti, con occhi puri e innocenti, con gioia e carità. Torniamo a desiderare quell’amore sincero e onesto che da sapore alla vita. Torniamo a credere nei nostri desideri più profondi per questo Natale e sotto l’albero, spesso colmo di  “falsi-bisogni”, riscopriremo il dono che può davvero riempire i nostri cuori e riportarci presso il cielo.
Melissa FELLO